Lo Stabat Mater di Alessandro Scarlatti, una rarità a Piove di Sacco (PD)
di Federico Scatamburlo
In una rara serata relativamente tiepida in questo maggio dal clima un po’ pazzo, incuriositi dalla presenza di nomi a noi già noti, abbiamo colto l’occasione per assistere, il 21 maggio sera, ad un concerto di musica barocca, presso il Santuario Madonna Delle Grazie, a Piove di Sacco (PD).
Evento nell’evento, prima del concerto vero e proprio, abbiamo con piacere apprezzato un’introduzione storico-artistica di un paio di pregevoli opere restaurate del Santuario, a cura dell’Associazione Madonna Delle Grazie.
Nello specifico, la Madonna del latte e San Giovanni Evangelista con S.Antonio da Padova (frammento):
due mirabili dipinti del cinquecento, entrambi su supporto ligneo, che già in tempi passati, quasi remoti, a causa del deterioramento del supporto avevano subito degli infelici e poco durevoli restauri e si presentavano in pessime condizioni. Interessantissima la breve video-dimostrazione di come è avvenuto il ripristino che ha ridonato fulgore e luce alle due opere e assicurato la loro conservazione per molto tempo a venire.
Il piccolo ma pregevole santuario, eretto nel 1484, di struttura medievale ma con prospetto frontale marmoreo di fine ottocento, è stato la cornice ideale per l’esibizione che è seguita subito dopo, dell’Orchestra Barocca di Padova, che ha eseguito il Mottetto in furore di Antonio Vivaldi (RV 626 per soprano, archi e basso continuo), il Mottetto Longe Mala (RV 629 per contralto, archi e basso continuo), il Concerto in DO maggiore di G.P.Telemann (per flauto, archi e basso continuo), e infine la “perla” della serata, lo Stabat Mater di Alessandro Scarlatti (per soprano, contralto, due violini e basso continuo).
Stabat Mater come ben sappiamo è una preghiera – più precisamente una sequenza – cattolica del tredicesimo secolo, attribuita a Jacopone da Todi. Se è stata molto amata dai fedeli, lo è stata non di meno da una nutrita generazione di artisti colti, solo per citarne qualcuno, Domenico e Alessandro Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Listz, Verdi, soprattutto perché accompagnava il rito della via Crucis e la processione del venerdì santo. I compositori di Stabat Mater si annoverano comunque dal Medioevo fino al ventunesimo secolo.
Uno dei più celebri Stabat Mater è quello di Giovanni Battista Pergolesi, che il giovane musicista scrisse quando era già in precarie condizioni di salute, e che viene considerato da tutti il suo testamento spirituale, caratterizzato da una bellezza in sequenza pura, malinconica ma non drammatica, priva di virtuosismi esteriori, dove la musica sorregge unicamente il canto delle due voci femminili, con una varietà di stile che lascia immaginare dove sarebbe arrivato il compositore se ne avesse avuto la possibilità. Secondo la tradizione avrebbe dovuto sostituire quello che (considerato antiquato) abbiamo ascoltato in questo concerto e composto vent’anni prima da Alessandro Scarlatti.
Quest’ultimo è considerato il fondatore della grande scuola musicale napoletana pur essendo di origini siciliane (nacque a Palermo), e divenne ben presto un musicista colto e stimato sia in Italia che in Europa. Formatosi inizialmente nella scuola romana, successivamente, dopo un fallimentare tentativo di risiedere e operare a Firenze, si trasferì a Napoli dove operò fino alla morte.
Scarlatti compose oltre 600 cantabili, 150 oratori, e 115 opere: lo Stabat Mater fu composto per l’Ordine dei Cavalieri della Vergine dei Dolori, a Napoli, per onorare la Vergine durante la Quaresima.
Dello Stabat Mater che abbiamo ascoltato in questa serata, che è raro trovare nei cartelloni di stagioni concertistiche, ne risalta subito l’arditezza armonica e l’uso contrappuntistico scarlattiano, che proprio in questa composizione è ardua e inusuale per l’epoca; proprio per questo motivo il componimento, che per orecchie non abituate a questo repertorio potrebbe risultare di difficile ascolto, è ricco di sfumature sottili e ben scandite dai singoli strumenti con colpi d’arco lunghi e profondi, penetranti, per sorprendere man mano con guizzi di agilità sia nella compagine orchestrale che vocale. E’ composto per soprano, contralto, due violini e basso continuo; si divide in quattro sezioni e la musica è variegata, partendo da semplici recitativi per arrivare alle “arie” vere e proprie con il da capo e con la grande fuga finale dell’Amen.
L’orchestra di questa serata è stata diretta dal M° Sergio Balestracci, che ha diretto con competente precisione l’Orchestra Barocca di Padova, composta da due violini, viola, violoncello, violone e clavicembalo, che hanno eseguito con passione e con precisa prassi esecutiva l’intero recital. Unica nota non positiva un evidente “stonatura” della viola, sempre al limite dell’intonazione, forse per problemi di accordatura non dipendenti dall’orchestrale. Il M° Balestracci, contemporaneamente alla direzione, ha anche suonato il flauto nel Concerto in Do Maggiore, regalandoci suoni puri e cristallini veramente d’atmosfera.
Il soprano di questo Stabat è stata Silvia Frigato, già da noi recensita nello Juditha triumphans devicta Holofernis barbarie – di A. Vivaldi al Comunale di Ferrara nell’aprile del corrente anno. Anche in questa serata inizialmente un po’ fredda, nel prosieguo ha fornito una corretta interpretazione, tuttavia non ai livelli dello Juditha, sicuramente per la maggiore complessità esecutiva. Buone la maggior parte delle agilità di cui è contornato questo “diadema” musicale, anche se non è stata del tutto convincente, forse per impostazione vocale o per altri motivi a noi non noti: proprio nelle agilità infatti ci si aspettava una maggiore “sgranatura” vocale e meno aspirazione.
La stessa problematica è stata riscontrata nel contralto, Marina De Liso, in quanto pur avendo maggiore esperienza, la dizione e l’emissione vocale non arrivavano chiaramente in sala. Riscontriamo spesso in esibizioni vocali barocche molta confusione sull’utilizzo dell’emissione vocale stessa: come ben si sa, l’impostazione (vocale) e quindi l’utilizzo del fiato e dell’apparato fonatorio è unica, non ci sono emissioni diverse per diversi repertori. Molti cantanti che affrontano questo ambito barocco emettono il suono aspirando e in alcuni casi “scurendo” volutamente la voce, falsandone così la sua naturalezza. Si pensi al grande Farinelli, su cui abbiamo fortunatamente ancora oggi molti scritti che ci riportano precise indicazioni sulla limpidezza della voce barocca. Certo Farinelli comunque era un “castrato”, ma facciamo questo esempio solo per porre l’accento sul fatto che i cantanti devono usare la propria voce naturale, senza falsare nulla per voler imitare o assomigliare vocalmente a qualcuno. Ogni voce è personale e unica, e tale deve rimanere, altrimenti risulta forzata, poco gradevole e poco chiara. Unico elemento del quale è necessario avere particolarmente cura è solo la prassi esecutiva, che non ha alcun legame con l’emissione vocale.
Detto questo, un plauso generale va a tutti gli artisti, considerate le difficoltà che hanno dovuto affrontare, e in generale il concerto è stato piacevole e suggestivo, riscuotendo infatti un buon consenso dal numeroso pubblico intervenuto, che è stato ringraziato dall’ensemble con il bis dell’Amen dello Stabat.
Orchestra Barocca di Padova
Violini:
Tommaso Luison
Massimiliano Simonetto
Viola:
Laura Scipioni
Violoncello:
Giancarlo Trimboli
Violone:
Luca Stevanato
Clavicembalo:
Chiara De Zuani
Direttore:
M° Sergio Balestracci
Antonio Vivaldi
Mottetto in furore
(RV 626 per soprano, archi e basso continuo)
Mottetto Longe Mala
(RV 629 per contralto, archi e basso continuo)
Georg Philipp Telemann
Concerto in DO maggiore
(per flauto, archi e basso continuo)
Alessandro Scarlatti
Stabat Mater
(per soprano, contralto, due violini e basso continuo)
Per la data: